Giampiero Gualandi avrebbe ucciso dopo essersi ritrovato “prigioniero in un castello di bugie da lui stesso costruito”. A sostenerlo in aula, durante la seconda udienza del processo contro l’ex comandante della polizia locale di Anzola, accusato dell’omicidio volontario dell’ex collega Sofia Stefani, è stata la procuratrice aggiunta di Bologna, Lucia Russo. Nel corso del dibattimento davanti alla Corte d’Assise, la pm ha argomentato la richiesta di provare nel processo sulla morte della vigilessa.
Gualandi è imputato per l’omicidio volontario della 33enne, con la quale aveva una relazione extraconiugale. Durante il processo è emerso che tra i due esisteva un “contratto di sottomissione sessuale” in cui Gualandi si definiva “padrone” e attribuiva a sé stesso un dominio assoluto sulla donna. In un passaggio del documento, l’ex comandante scriveva: “Io, signore e padrone, mi impegno a dominare l’anima della mia sottomessa” .
Questo aspetto è stato approfondito in aula dalla procuratrice aggiunta Lucia Russo e dall’avvocato Andrea Speranzoni, legale della famiglia Stefani, nel corso delle loro richieste istruttorie. Secondo la ricostruzione presentata in aula, Gualandi sarebbe rimasto intrappolato nelle sue stesse menzogne, incapace di gestire una relazione ormai sbilanciata e fuori controllo.
L’accusa sostiene che il 63enne abbia premeditato l’omicidio, simulando un incidente con la sua pistola di ordinanza all’interno del suo ufficio. Gualandi, invece, ha sempre parlato di un colpo esploso accidentalmente durante una colluttazione. La pm ha descritto la relazione tra i due come “squilibrata”, sottolineando la debolezza della vittima rispetto al potere esercitato dall’imputato. L’uomo, secondo l’accusa, era terrorizzato dall’idea che il legame potesse essere scoperto, soprattutto dopo che la moglie aveva avuto sentore della relazione alla fine di aprile 2024. Per giustificarsi, Gualandi le aveva detto di aver interrotto quel rapporto, sostenendo che Stefani lo perseguitasse. Tuttavia, secondo la Procura, i due avrebbero dovuto riprendere a vedersi pochi giorni dopo, all’insaputa della consorte.
La ricostruzione dei fatti
Il pomeriggio del 16 maggio 2024, nel comando della polizia locale di Anzola Emilia (Bologna), si sarebbe consumato l’omicidio. A testimoniare quanto accaduto è stato Michele Zampino, impiegato amministrativo, uno dei due testimoni presenti sul posto oltre all’imputato e alla vittima. L’altra persona presente era il sovrintendente della polizia locale, Catia Bucci.
“A un certo punto sentimmo un tonfo. Ci guardammo e ci dirigemmo verso il corridoio. Giampiero Gualandi uscì dal suo ufficio con il cellulare in mano, era al telefono con il 118 e mi disse di chiamare il 112. Io mi affacciai e vidi Sofia Stefani a terra nell’ufficio. Gli chiesi cosa dovevo dire. Lui rispose: ‘Dì che partito è un colpo’. Così chiamai i carabinieri e riferii quelle parole” , ha raccontato Zampino in aula.
Gualandi, accusato di omicidio volontario, continua a sostenere che si sia trattato di un incidente. Secondo la sua versione, il colpo sarebbe stato esploso accidentalmente nel corso di una colluttazione con la donna.
Le testimonianze
Nel corso dell’udienza ha testimoniato anche Catia Bucci, che ha riferito di non essere a conoscenza della relazione tra Gualandi e Stefani. Tuttavia, ha raccontato che la giovane si recava spesso nell’ufficio del comandante: “Una o due volte alla settimana era lì. Pensavamo che lui, in qualità di sindacalista, la stessa aiutava, visto che era stata licenziata” .
Il giorno dell’omicidio, Bucci si accorse della presenza di Stefani quando uscì dal bagno e sentì la sua voce nell’ufficio di Gualandi. “Aveva un tono normale, non ho sentito grida” , ha precisato, aggiungendo che trascorsero circa due minuti tra il momento in cui lasciò il bagno e lo sparo.
Un altro elemento emerso in aula riguarda l’uso dell’arma. Il testimone ha raccontato di aver sentito “armeggiare nell’armeria” , aggiungendo che l’unico ad avere accesso alla pistola era Gualandi. Qualche giorno prima dell’omicidio, inoltre, lo stesso imputato aveva prelevato l’arma dall’armeria con la giustificazione che doveva pulirla.
Il processo prosegue con l’esame degli elementi raccolti dagli inquirenti, mentre la Procura continua a sostenere che si sia trattato di un omicidio premeditato e non di un incidente, come affermato dalla difesa