Doppio femminicidio a Modena: condannato a 30 anni Salvatore Montefusco, la Corte riconosce le attenuanti. Trent’anni di carcere invece dell’ergastolo chiesto dalla Procura. Questa la condanna inflitta a Salvatore Montefusco , imputato per il doppio femminicidio della moglie, Gabriela Trandafir , e della figlia di lei, Renata , avvenuto il 13 giugno 2022 a Cavazzona di Castelfranco Emilia, in provincia di Modena. Nella motivazione della sentenza, la Corte d’Assise di Modena evidenzia la “ comprensibilità umana ” dei motivi che hanno spinto l’uomo a commettere il crimine e riconosce attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti , escludendo la premeditazione e la crudeltà.
Il contesto del delitto
Salvatore Montefusco, imprenditore edile in pensione, ha confessato di aver ucciso con colpi di fucile la moglie Gabriela, 47 anni, e la figlia della donna, Renata, 22 anni, nella casa dove vivevano. Il delitto avvenne il giorno precedente all’udienza di separazione tra Montefusco e Gabriela, con un movente che secondo la Procura aveva origini economiche. Testimone oculare dell’omicidio fu il figlio diciassettenne dell’uomo, che riuscì a scampare alla furia omicida.
Nonostante la gravità del gesto, la Corte non ha accolto la richiesta di ergastolo avanzata dalla Procura, sottolineando nella sentenza, visionata dall’ANSA, che Montefusco, incensurato fino a 70 anni , non avrebbe mai commesso un delitto di tale portata “se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano nel tempo innescate” . La sentenza riconosce inoltre che il crimine è stato commesso in un contesto di “forte conflitto” , caratterizzato da denunce reciproche tra l’imputato e le due vittime.
Le ragioni della condanna e le attenuanti riconosciute
Montefusco è stato condannato a 30 anni di reclusione e a 5 anni di libertà vigilata , oltre a un risarcimento di un milione di euro a favore del figlio, costituitosi parte lesa. Le attenuanti generiche, riconosciute equivalenti alle aggravanti (rapporto di coniugio e l’aver commesso il fatto davanti a un minore), sono state giustificate dalla Corte sulla base di:
- La confessione immediata dell’imputato.
- La sua sostanziale incensuratezza .
- Il corretto contenuto processuale .
- La situazione di disagio e frustrazione vissuta dall’uomo all’interno di un ambiente familiare altamente conflittuale.
Un delitto maturato in un clima di altissima tensione
Secondo quanto emerso in aula, Gabriela si era rivolta più volte alle forze dell’ordine per denunciare i maltrattamenti subiti da Montefusco. Tuttavia, il clima di tensione si era ulteriormente esasperato con l’approssimarsi della separazione. La Corte sottolinea che il movimento del delitto non può essere ridotto a una questione economica legata all’abitazione familiare, ma va ricondotto al “profondo disagio psicologico, all’umiliazione e alla frustrazione” vissuti dall’imputato, il quale temeva di perdere il controllo sulla casa e, soprattutto, sul figlio.
Il blackout emozionale descritto dall’imputato è stato ritenuto plausibile dai giudici. Montefusco ha dichiarato di aver perso il controllo dopo che la figliastra gli aveva ribadito che avrebbe dovuto lasciare la casa. Questo episodio sarebbe stato il punto di rottura, spingendolo a prendere il fucile e compiere il duplice omicidio. Testimonianze raccolte in aula hanno confermato che, fino a quel momento, l’uomo non aveva mai minacciato di morte le due donne.
Un crimine complesso, tra conflitti e cause cumulative
La sentenza, articolata in oltre 200 pagine , mette in evidenza come il tragico gesto sia stato il risultato di “una serie di condotte unilaterali e reciproche” , susseguitesi nel tempo. Sebbene queste non integrino l’attenuante della provocazione, secondo la Corte hanno comunque “determinato l’abnorme reazione dell’imputato” . L’esclusione della premeditazione, dei motivi abietti o futili e della crudeltà ha giocato un ruolo fondamentale nella determinazione della pena.
La tragedia e le sue conseguenze
L’omicidio di Gabriela e Renata ha sollevato indignazione e dolore nella comunità locale. Il caso evidenzia ancora una volta la necessità di prevenire e intervenire tempestivamente nei contesti familiari segnati dalla violenza e dai conflitti, prima che si arrivi a tragedie irreparabili. Montefusco, ora 72enne, dovrà scontare una lunga pena, ma le domande sollevate da questa vicenda restano aperte: si sarebbe potuto evitare il dramma? E quali responsabilità ricadono sulle istituzioni per non essere riuscite a tutelare le due donne? Questi interrogativi continuano a pesare, mentre la comunità cerca di fare i conti con una perdita che nulla potrà riparare.