TORINO. La notizia circolava da giorni. Ma è soltanto ieri che, su WhatsApp, la chat dei genitori della terza elementare della scuola Sinigaglia di Torino è impazzita. «È ufficiale: la maestra Laura Prunotto torna». «Prenderà servizio il 21 gennaio, dicono che adesso sia in ferie». «E ora come facciamo? Io tolgo mio figlio dalla scuola».
Alla fine, è arrivato il messaggio che ha, soltanto per il momento, smorzato l’idea di mettere in atto una rivolta collettiva. «La preside ha promesso che ci incontrerà. Tutti insieme. E ha messo le mani avanti: lei non c’entra con questa scelta. Comunque, ci darà delle garanzie. Lei potrà insegnare solo a determinate condizioni. Solo materie con poche ore. E con la porta aperta. Non potrà mai stare da sola con i bambini. Sarà sempre affiancata da un’altra docente»
La maestra Laura Prunotto sarà una sorvegliata speciale. Dopo le denunce per maltrattamenti aggravati sporte nei suoi confronti, negli ultimi dieci anni, dai genitori di 21 bambini. Dopo un arresto, due anni di processo e la richiesta di condanna della procura. Dopo un’assoluzione. Potrà tornare a fare la docente nella stessa scuola dove lavorava prima. Ma con delle «cautele»
Era la mattina del 12 dicembre quando il collegio ha pronunciato la parola «assolta». L’aula era piena. Tra il pubblico c’erano anche alcuni ex allievi – una ragazza è già maggiorenne – che avevano raccontato in dibattimento presunte vessazioni. Qualcuno aveva pianto dopo la lettura della sentenza. Ma sembrava una storia finita. Perlomeno, una storia giudiziaria e basta. Proseguibile in appello, magari. Ma ristretta in un tribunale. Invece, due giorni fa, è diventata una storia di cronaca. E di rabbia. Prunotto, che era stata sospesa dall’ufficio scolastico regionale in virtù di un provvedimento disciplinare decaduto con l’assoluzione, è stata riassegnata alla stessa scuola elementare. La Leone Sinigaglia nel quartiere popolare Santa Rita. La stessa scuola frequentata dai bambini che si erano costituiti parti civili.
Oggi, al posto di quegli allievi, ci sono i loro fratelli minori. «Mia figlia adesso fa seconda media – racconta un padre – ma quello che ha subito lo ricordo bene. Era obbligata a fare la pipì nel bagno alla turca anche se ne aveva il terrore. Ha assistito a cosa succedeva agli altri. Ho denunciato tutto. Ricordo il giorno in cui hanno arrestato la maestra Prunotto. Mi sono costituito parte civile. Ho fornito agli inquirenti tutto il materiale possibile. E adesso scopro che lei rischia di finire nella classe che frequenta mio figlio più piccolo».
La rivolta è iniziata. A colpi di mail, riunioni e messaggi che rimbalzano sulle chat. Alcuni genitori hanno chiesto un incontro con la preside. Altri hanno telefonato al provveditorato. Qualcuno ha scritto direttamente in procura. Persino alla pm Giulia Rizzo, che ha svolto l’indagine e che aveva chiesto quattro anni di reclusione per l’imputata. «Ha lanciato un vocabolario contro una bambina. Obbligava gli scolari a trattenere la pipì finché non se la facevano sotto. Li insultava», aveva detto la pm. Ma i giudici non hanno accolto la tesi dell’accusa. Prunotto è stata dichiarata innocente. Come la vicaria della scuola, difesa dall’avvocato Lorenzo Imperato, che lavora ancora lì. «Come possiamo stare tranquilli?», si lamenta una madre. Ma nessuno può impedire a una persona assolta di lavorare. «Non potevano mandarla in un altro istituto, per il bene di tutti?», è la domanda collettiva.
Laura Prunotto garantisce: «Sono serena. L’ho sempre detto. Non ho mai fatto male a nessuno e sono vittima di qualcuno che ha architettato contro di me un complotto. Hanno distrutto qualcosa mettendosi contro di me. E hanno distrutto tanti bambini. Sono stata vittima di calunnie e menzogne. Siamo tutti vittime e io per prima. Purtroppo avranno un ricordo sbagliato del periodo più bello della loro vita».
Ma come si affronta un rientro in un luogo dove non si è benvoluti? «Ho cercato di non demordere – dice Prunotto – l’ho fatto per loro, per i bimbi. Ho cercato di non abbattermi. Torno a scuola perché è un mio diritto. E sono chiamata a farlo». Perché proprio alla Sinigaglia? «La scuola è quella di appartenenza. Torno lì in automatico perché sono la titolare di quella classe. Sono di ruolo». La spaventa l’idea delle porte aperte? «No, ho sempre lavorato a porte aperte. Ed è una scelta di molte insegnanti. Non siamo chiusi in gabbia. Lo facciamo a tutela dei ragazzini. Sono serena perché non ho mai fatto nulla di male».