Scandalo Scuola regionale, conti truccati: 1,4 miliardi in più a Lombardia e Veneto
L’autonomia è tema centrale nell’azione di governo e non c’è dubbio che fra le 23 materie in ballo è l’istruzione la più delicata, sia dal punto di vista economico sia da quello sociale, con i sindacati che hanno organizzato uno sciopero unitario sfidando la cabala: venerdì 17 maggio.
Proprio sulla scuola regionalizzata, però, si sta giocando sporco. Come riporta Marco Esposito sul Mattino A fare i conti – in un articolo pubblicato su «Menabò di etica ed economia» – è Gianfranco Viesti, già protagonista del dibattito con l’appello «No alla secessione dei ricchi», slogan entrato nel linguaggio anche dei sostenitori dell’autonomia. Qual è il ragionamento di Viesti? Parte da un documento pubblicato dal ministero di Erika Stefani e che mette a confronto la spesa statale procapite per l’istruzione in sette regioni: tre del Nord (Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, cioè quelle che hanno chiesto l’autonomia differenziata) e quattro del Sud (Campania, Calabria, Puglia e Sicilia).
Quelle del Nord hanno una spesa procapite intorno ai 460 euro mentre al Sud si toccano i 636 in Campania e 685 in Calabria. La media nazionale (non in tabella) è di 530 euro. Il messaggio è chiaro: nel Mezzogiorno si spende troppo e sarebbe equo ridurre gli sprechi, tra i quali spicca una spesa procapite che in Campania è superiore del 39% a quella della Lombardia.
Gli accordi sull’autonomia prevedono infatti che dopo tre anni, per le Regioni che hanno chiesto l’autonomia, scatta in automatico la media procapite, che scherzosamente il presidente del Veneto Luca Zaia ha battezzato «la livella», citando la poesia di Totò. Per Lombardia e Veneto ciò significa incassare 1,4 miliardi in più all’anno (l’Emilia sarebbe fuori da tale gioco, non avendo chiesto la regionalizzazione del corpo docente).
A chi sarebbero tolti questi 1,4 miliardi? La risposta dovrebbe darla questa mattina in Bicamerale federalismo fiscale il ministro dell’Economia Giovanni Tria, il quale al momento è tentato dall’eludere la questione, affermando che in attesa dei decreti attuativi qualunque conteggio è prematuro.
Ma Viesti porta un altro ragionamento. Che senso ha, osserva, parametrare la spesa per l’istruzione alla popolazione totale? In effetti con tale criterio la Regione più virtuosa d’Italia sarebbe la Liguria (fuori tabella) perché per ragioni demografiche conta pochissimi studenti rispetto ai tanti anziani residenti. Gli alunni in rapporto alla popolazione, infatti, non sono gli stessi ovunque: spicca la Campania con il 15,6% contro l’11,9% della Lombardia. Già solo questa correzione avvicina Campania e Puglia a Lombardia e Veneto.
Le correzioni indispensabili alle tabelle della Stefani non si fermano qui. La spesa per l’istruzione, infatti, non è solo quella statale monitorata dalla Ragioneria bensì quella più ampia e comprensiva di tutto il sistema pubblico registrata dai Conti pubblici territoriali. La spesa corrente per studente va da un minimo di 5.048 euro in Puglia a un massimo di 5.942 in Calabria, con la Campania nella fascia delle regioni virtuose a 5.256 euro, il Veneto in una posizione analoga a 5.151 e la Lombardia nella fascia dei territori spendaccioni a 5.400 euro. La livella, insomma, dovrebbe portare soldi verso Campania e Puglia, oltre che il Veneto.
Ma hanno senso i criteri «piatti» se l’obiettivo è offrire una scuola di qualità ovunque lungo la penisola, nelle città come nelle aree interne? Bisogna tener conto in effetti anche di altri fattori, come l’anzianità del personale. Un insegnante con 30 anni di servizio guadagna il 27% in più di un docente con 10 anni di attività. E i prof con oltre 45 anni d’età sono l’80,6% in Calabria e il 78,7% in Campania contro il 61,9% della Lombardia e il 66,6% del Veneto. Inoltre ci sono territori con molti piccoli comuni e frazioni dove va comunque garantita la scuola primaria, il che spiega il 41% di classi elementari con meno di quindici alunni in Calabria contro l’11% della Lombardia e il 10% della Puglia.