La Corte d’Assise di Venezia ha condannato Filippo Turetta all’ergastolo per l’omicidio di Giulia Cecchettin, ma ha escluso due aggravanti pesanti: stalking e crudeltà. I giudici hanno invece riconosciuto quella della premeditazione, ritenendo che il delitto fosse stato pensato e pianificato, ma non accompagnato da atti persecutori legalmente configurabili secondo il Codice penale.
Il nodo giuridico sullo stalking
La motivazione della Corte ruota attorno a un elemento chiave: la percezione soggettiva della vittima. Sebbene Turetta avesse messo in atto condotte ossessive – messaggi insistenti, atteggiamenti possessivi, pressioni emotive – secondo i giudici Giulia non si sentiva in pericolo.
Il tribunale ha evidenziato che le azioni di Turetta, per quanto invasive, non si collocano nel perimetro temporale e psicologico previsto dalla legge per configurare il reato di stalking: “Le condotte, pur oggettivamente moleste, non risultano accompagnate da un persistente stato di ansia, turbamento o timore per la propria incolumità da parte della ragazza”.
Il comportamento del ragazzo viene descritto come ossessivo e manipolatorio, ma Giulia – come confermato da testimoni e messaggi – non avrebbe mai vissuto questi atteggiamenti come una minaccia reale.
Il ruolo della testimonianza di Gino Cecchettin
A rafforzare questa visione è stata anche la testimonianza del padre di Giulia, Gino Cecchettin, il primo a denunciare la scomparsa della figlia. Nelle sue dichiarazioni, il padre ha affermato di non aver mai raccolto segnali preoccupanti da parte di Giulia sul comportamento di Turetta. Anzi, ha raccontato che la figlia parlava di lui come di un ragazzo geloso e possessivo, ma mai come di una persona violenta.
“Non mi ha mai confidato nulla di preoccupante – ha dichiarato – e non mi ha mai manifestato paura per Filippo, né l’ha fatto con i suoi fratelli.”
Secondo la Corte, questa assenza di confidenza da parte di Giulia è un elemento dirimente per escludere che la giovane vivesse in uno stato di costante ansia o paura. L’intero impianto accusatorio basato sull’aggravante dello stalking si è scontrato con la mancata percezione del pericolo da parte della vittima, come confermato anche da amiche e conoscenti ascoltate in aula.
Giulia consapevole, ma non impaurita
La sentenza sottolinea che Giulia era lucida e consapevole dell’atteggiamento tossico del suo ex fidanzato, ma non lo considerava una minaccia. Al contrario, il suo comportamento mostrava un tentativo fermo ma razionale di allontanarlo, senza sfumature di terrore o allarme.
“Giulia era perfettamente cosciente dell’insensatezza delle pretese di Turetta – scrivono i giudici – e proprio perché non si è piegata, è stata uccisa”.
Una delle parti più forti della motivazione riguarda proprio l’appuntamento che Giulia aveva fissato volontariamente con Filippo poche ore prima dell’omicidio: dovevano andare insieme a comprare un vestito per la sua laurea. Un gesto che, per la Corte, conferma che la ragazza non temeva per la propria vita.
La reazione pubblica e il dibattito
L’esclusione dell’aggravante di stalking ha inevitabilmente sollevato un dibattito pubblico, soprattutto sui social, tra chi si interroga su come la giustizia definisca la “paura” e quanto sia difficile dimostrarla in un contesto relazionale.
Molti esperti di femminicidio e avvocati hanno fatto notare come questa sentenza possa diventare un precedente problematico, perché il riconoscimento del reato di stalking sembra vincolato a manifestazioni esplicite di terrore, che però molte donne non sempre esternano per senso di colpa, vergogna o speranza di recuperare un rapporto.
Conclusione
Filippo Turetta è stato condannato all’ergastolo per un delitto che ha sconvolto l’opinione pubblica. Ma la sentenza che lo ha ritenuto colpevole non ha riconosciuto due aggravanti fondamentali. Per la Corte, l’amore malato non era percepito come una minaccia. Un paradosso che lascia aperta una ferita non solo nella famiglia Cecchettin, ma anche in un Paese che continua a interrogarsi su come prevenire e comprendere la violenza di genere prima che sia troppo tardi.