Giallo Loris, Si va in Cassazione. La svolta: “Ucciso nel burrone, non è stata Veronica”. Cambia tutto
Loris: depositato ricorso della madre in Cassazione Dall’avvocato Villardita contro condanna a 30 anni di Veronica
(ANSA) – CATANIA, 12 FEB – L’avvocato Francesco Villardita ha depositato in Cassazione il ricorso avverso alla sentenza della Corte d’assise d’appello di Catania che il 5 luglio del 2018 ha confermato la condanna di Veronica Panarello a 30 anni di reclusione per l’omicidio del figlio Loris di 8 anni e l’occultamento del suo cadavere.
Il bambino fu strangolato con delle fascette di plastica il 29 novembre del 2014 nella casa di famiglia a Santa Croce Camerina, nel Ragusano. La sentenza di primo grado che condannava la donna a 30 anni di reclusione era stata emessa dal Gip di Ragusa, Andrea Reale, il 17 ottobre del 2016. Il ricorso davanti ai giudici della Suprema Corte verte su dieci punti. Alcuni erano stati anticipati dal penalista nel commentare le motivazioni della condanna: l’elemento soggettivo del reato e la contraddizione della sentenza che parla di dolo d’impeto, ma anche di pianificazione con il sopralluogo di Veronica Panarello; l’assenza di movente; e la capacita’ di intendere e volere dell’imputata.
Veronica innocente, l’intervista al criminologo: “Ecco perchè non è stata lei”
“Veronica Panarello è innocente e Loris forse già adescato prima dell’omicidio”. È questa l’ipotesi del criminologo Francesco Bruno, che cambia le carte in tavola nel caso Loris Stival. Il bambino non sarebbe morto per strangolamento e sarebbe stato ucciso sul luogo del ritrovamento. Nella lunga intervista concessa a Cronaca&Dossier un’ipotesi da brividi: Loris potrebbe essere stato già adescato tempo prima dal proprio aguzzino
IL CACCIATORE
Prima di Veronica Panarello c’è una figura che lascia aperti alcuni dubbi ed è quella del cacciatore, il quale afferma di essersi recato al pozzo per una sorta di “intuizione”. Cosa ne pensa?
«Non sono ancora andato in Sicilia e quindi non ho conoscenza diretta dei luoghi e delle persone, ma quel che posso dire è che l’agire del cacciatore è qualcosa che in Italia avviene molto raramente, perché tutte le volte che sparisce un bambino e lo si cerca dappertutto, quest’ultimo viene trovato solo dopo una lunga e attenta ricerca. Quello che è successo con il cacciatore è un po’ anomalo e ciò deve farci chiedere il perché».
Qual è secondo Lei la spiegazione a questa “anomalia”?
«Il cacciatore dice di avere avuto un’intuizione. Io faccio lo psichiatra e so per certo che le nostre intuizioni sono dei movimenti mentali che avvengono sulla base di precedenti. Quindi ci sono dei precedenti inconsci, che forse il cacciatore non conosce, che l’hanno spinto ad avere questa intuizione. Lui è andato in quella zona perché lì riteneva potesse trovarsi il bambino e ha avuto ragione. Oltretutto, da quel che ho visto finora, era molto difficile vedere il corpo semplicemente passando. È evidente che il bambino è stato cercato con attenzione proprio lì dov’era, il che implica che questa intuizione è stata molto precisa. Dobbiamo chiederci essa da dove nasce».
Ha un’idea del profilo di quest’uomo?
«Sembra essere una persona per bene che si è sentita personalmente investita nel ruolo di ricercatore e che, per combinazione, è andato a cercare esattamente dove il corpo era, forse per delle pressioni inconsce. Inoltre, se è vera l’informazione che il cacciatore è molto amico di una parte della famiglia paterna di Loris Stival, ciò potrebbe rivestire ulteriore significato in grado di giustificare per quale motivo si è spinto verso quella direzione. Altro non sappiamo. Ritengo tuttavia che se l’uomo fosse stato interrogato anche da uno psichiatra, quest’ultimo avrebbe potuto mettere a frutto questo “non detto”».
Quindi forse c’erano stati dei precedenti relativi al punto in cui è stato trovato il cadavere?
«Probabilmente c’erano stati dei precedenti e questo toglie gran parte delle accuse rivolte alla madre».
VERONICA PANARELLO
Però ad oggi Veronica Panarello è l’unica sospettata del delitto del piccolo Loris Stival. Qual è il Suo parere circa la personalità della signora Panarello?
«La madre è stata descritta sin dal primo momento come una persona con tanti problemi passati, di non tranquillità. Tutto questo si è riversato su di lei nel momento in cui è stata sospettata assistendo, di fatto, ad un’indegna opera di attribuzione di significati su questioni dette e non dette dalla madre. Poi alla fine si è visto che questa ragazza aveva vissuto un’infanzia e un’adolescenza difficile, che c’erano stati dei tentativi di suicidio, sebbene l’importanza sia ancora tutta da verificare in relazione al precedente contesto di vita; che ha trovato un uomo con il quale ha avuto dei figli e pare che in realtà sia una madre esemplare, tanto che nessuno poteva immaginare una situazione di questo tipo».
«Tutto nasce dall’impressione, avuta dalle Forze dell’ordine, che Veronica Panarello dicesse inesattezze, bugie volontarie per nascondere una parte dei suoi movimenti quel giorno e per questo è stata ritenuta indiziata e arrestata. Secondo me tutto ciò è avvenuto senza nessun motivo reale perché i dati a disposizione in questo momento sono ancora minimi, rappresentati dalle immagini delle telecamere che avrebbero ripreso la macchina della donna. Ma si tratta di telecamere riportanti ciascuna orari diversi e che mostrano immagini sulle quali non vi è certezza assoluta. Un conto è vedere una macchina scura come quella della Panarello, ma nessuno può dire con sicurezza se quella è proprio la sua auto oppure no».
I tempi in gioco per commettere il delitto cosa lasciano intendere?
«I tempi in cui l’omicidio sarebbe stato compiuto sono ridottissimi ed è assolutamente escluso che una madre, che ricordiamo continua a negare ogni accusa, abbia potuto fare ciò che le viene posto a carico. Non ci sono i tempi materiali».
Come spiega le affermazioni non esatte di Veronica Panarello?
«Le difficoltà di memoria sono il segnale che la testimonianza è attendibile. Quando invece è troppo sicura, certa, vuol dire che è stata preparata. Se qualcuno chiedesse a ciascuno di noi di riferire cosa abbiamo fatto in un preciso lasso di tempo, anche solo del giorno precedente, probabilmente cadremmo in errore».
Però in questo caso addirittura c’è contraddizione tra varie affermazioni.
«Non c’è contraddizione. Io parlerei più di errori. Semmai, sono gli investigatori a dover dimostrare la presenza dell’auto della Panarello in quel posto, come vi è arrivata, come avrebbe fatto a uccidere il bambino: ci vogliono dei minuti per fare tutto questo, dei tempi che non reggono nel castello accusatorio contro la madre».
Panarello dice di avere lasciato Loris Stival a scuola e invece ciò non avviene.
«Lo lascia a poca distanza. Ma stiamo parlando di un paese, di gesti che avvengono tutti i giorni, per cui il bimbo è stato lasciato e sarebbe dovuto andare a scuola da solo. Se poi non è andato bisogna spiegarsi il perché. Su questo punto non vi è stata alcuna indagine».
Descrivendo Veronica Panarello, la Procura parla di un soggetto «in preda a uno stato passionale momentaneo di rabbia incontenibile». Lei la ritiene una descrizione adeguata?
«Non conosco ancora di persona la signora Panarello. Tuttavia, che sia una persona emotiva è evidente; che abbia una rabbia incontenibile non emerge secondo me da nessuna parte».
L’AUTOPSIA
Cosa può dirci dell’autopsia compiuta sul corpo di Loris Stival?
«Penso che non sia stata fatta con piena attenzione rispetto a ciò che sarebbe stato necessario, come ad esempio cercare la presenza o meno di droghe nel corpo del bambino. Si rileva invece una grossa frattura alla testa».
La frattura si è generata per la caduta nel pozzo?
«L’autopsia dice che la frattura cranica è più o meno coeva alla morte, avvenuta subito prima o subito dopo il decesso. Io penso che non sia possibile che la frattura sia stata generata dalla caduta nel pozzo».
Perché?
«Perché è molto ampia e va da una parte all’altra del cranio. Inoltre, quando si cade da un’altezza di quel tipo, se il soggetto è vivo, ci sono delle fratture sulle braccia in quanto si cerca di attutire la caduta, ma qui non abbiamo questi segni; infine non si vede con certezza il punto sul quale avrebbe battuto la testa Loris.
Penso quindi che Loris Stival sia stato ucciso con un colpo alla testa lì dove poi è stato trovato».
Non sarebbe perciò deceduto per strangolamento?
«Ci sono segni di strangolamento indicati come “compatibili” con le famose fascette, ma secondo me le fascette non c’entrano niente, eppure io sono forse il primo che ha riconosciuto ad esse una potenzialità omicida. Tuttavia non in questo caso perché sono troppo piccole per garantire lo strangolamento di un bambino».
Però qualcosa è stato applicato al collo dei Loris Stival.
«Certo, anche alle mani e alle braccia. Però con quelle dimensioni molte altre cose sono compatibili».
LA DINAMICA
Secondo quanto ripreso da una telecamera di sorveglianza, Loris Stival non sarebbe andato a scuola e si vedrebbe invece rientrare in casa.
«Si tratta di un’altra follia investigativa perché per poter affermare una cosa del genere serve una perizia. Da quella telecamera non è assolutamente chiaro se nell’immagine video sia Loris Stival».
In base alla documentazione e alle informazioni in Suo possesso, ritiene si sia trattato di un omicidio organizzato oppure di un delitto d’impeto al quale si è poi cercato di dare un’organizzazione più o meno efficace?
«L’omicidio non è d’impeto ma premeditato perché i tempi sono sempre molto ridotti. Quella mattina Loris Stival era stato portato via per scopi sessuali e può darsi che in quel caso il bambino non avesse aderito alla volontà del rapitore, portandolo a uccidere perché Loris Stival avrebbe potuto tradire, cosa che fino a quel momento non aveva fatto. Ma non era possibile che questo bambino non fosse stato già da prima adescato a fare qualcosa di questo genere».
E se fossero stati tolti gli slip a Loris Stival per deviare le indagini verso la pista sessuale?
«Più che simulazione penso ad un atto precostituito per evitare il rischio che su quell’indumento venissero trovati elementi utili ad individuare il DNA dell’aggressore».
Ritiene che la Procura sia stata guidata dalla troppa fretta oppure abbia involontariamente trascurato elementi importanti?
«Sono stati sottovalutati elementi importanti perché ci si è convinti troppo presto della colpevolezza della madre. Da lì le indagini si sono concentrate troppo soltanto sulle telecamere».
A dicembre 2014 l’ADN Kronos ha pubblicato Sue affermazioni in merito al presunto motivo del delitto, asserendo che, secondo Lei, poteva trattarsi di una vendetta perché Loris Stival, da parte paterna, aveva origini albanesi, cosa poi rivelatasi non vera. Vuole fare una rettifica rispetto a quelle affermazioni?
«L’ho detto perché le primissime informazioni giornalistiche volevano il padre di Loris Stival essere di origine albanese. Allora una prima interpretazione era che poteva trattarsi di una possibile ragione del delitto, oltre quella sessuale. Ma si era trattato di un commento a caldo, quando ancora non c’erano informazioni sul caso e quelle poche erano frammentarie».
Dunque come sarebbero avvenuti i fatti secondo Lei?
«Innanzitutto la signora Panarello è innocente. Di questo me ne sto convincendo sempre di più. All’inizio non mi convincevano le prove. Io che ho lavorato al caso Pietro Pacciani, quando sento parlare di “compatibilità” mi sembra di risentire le stesse cose che si dicevano su di lui. Di “compatibilità” si parla anche in tanti altri casi e spesso ci si accorge della inconsistenza di una definizione del genere. Ma soprattutto dopo avere letto i documenti, in particolar modo l’autopsia, mi sono reso conto che non c’è assolutamente nulla a livello indiziario circa il coinvolgimento della madre nel delitto».
Fissando lo sguardo sull’attimo in cui Loris Stival scende dell’auto, come ricostruisce gli istanti successivi?
«Qualcuno che conosceva il bambino l’ha preso e portato via. E Loris Stival lo conosceva perché un bambino non va con chiunque. Da lì è probabile vi sia stato il tentativo di violenza al quale Loris Stival stavolta si è ribellato pagando con la vita».
E le fascette?
Loris Stival aveva detto alla madre che servivano per degli esperimenti a scuola. Ma le maestre di Loris hanno negato la possibilità. Da lì la consegna delle fascette alle maestre, da parte della Panarello, ed esse le hanno consegnate agli inquirenti. È una ricostruzione ben diversa rispetto a ciò che viene detto dai media. Quindi noi sappiamo solo che Loris Stival aveva usato queste fascette e che aveva detto di averlo fatto a scuola. Ma in realtà non servivano a scuola, forse usate con la persona che avrebbe abusato di lui».