Elena Ceste, la Svolta incredibile. Scoperto un messaggio all’amante poco prima di morire. Ecco cosa diceva
Omicidio Elena Ceste: come per il caso Yara Gambirasio, la scrittrice e criminologa Anna Vagli ha espresso il suo parere professionale su La Gazzetta di Lucca in merito al caso della mamma 37enne scomparsa a Costigliole D’Asti il 24 gennaio 2014 e i cui resti furono rinvenuti casualmente a meno di un km da casa, nel canalone del Rio Mersa, il 21 ottobre dello stesso anno. Se riguardo a Massimo Bossetti la Dottoressa Vagli si è detta totalmente convinta della sua colpevolezza, per ciò che invece concerne Michele Buoninconti – ex vigile del fuoco nonché marito di Elena, condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione per il delitto della moglie – la criminologa ha espresso non pochi dubbi sull’ «accozzaglia di indizi mal messi» che hanno portato alla condanna dell’uomo.
Michele Buoninconti ha davvero ucciso la moglie?
«La condanna di Michele Buoninconti per l’omicidio di Elena Ceste è davvero al di là di ogni ragionevole dubbio?», s’interroga la Vagli, per poi argomentare così le sue perplessità: «… Nonostante siano trascorsi tre gradi di giudizio, a me la dinamica omicidiaria ricostruita proprio non convince. Partirei proprio dallo stesso Michele Buoninconti. Lo si è voluto dipingere come ‘ipertrofico’ nell’ambito familiare, per riprendere le parole del medico di famiglia, tal dott. Gozzellino, un soggetto che trasmetteva “quel suo chiaro controllo che aveva verso la moglie”.
Bene, a me pare, che la signora Ceste tanto remissiva nella relazione non era». Come infatti le indagini sul caso rivelarono, Elena Ceste aveva avuto degli amanti e Michele Buoninconti ne era venuto a conoscenza poco prima della sparizione della moglie. «Questo è agevolmente riscontrabile anche nelle testimonianze degli amanti con le quali la donna spendeva il suo tempo, forse per fuggire a quella vita di campagna che tanto le stava stretta. Trentasette anni, quattro figli, di mestiere casalinga, sempre dedita alla cura di prole e galline. Probabilmente andava anche capita. Però di lì a sostenere che era succube del marito mi pare un po’ azzardato. Quale donna succube di un compagno o di un marito intrattiene relazioni extraconiugali?».
Elena Ceste: inquietante messaggio all’amante prima di morire
Elena debole, soggiogata dal marito-padre-padrone – questo il profilo della vittima emerso al processo – viene invece descritta in maniera opposta dagli uomini con i quali aveva avuto delle relazioni extraconiugali: «Utilizzando le parole dell’ex compagno G.G. – spiega la Vagli – e dell’amante A. R., Elena “sessualmente parlando, era molto disinibita, le piaceva l’erotismo. Appariva molto libertina e saltellava da un rapporto ad un altro». Elena viveva da mesi un profondo turbamento emotivo come conseguenza delle sue condotte fedifraghe e temeva che a Costigliole ne fossero a conoscenza –
«Le telecamere nei pressi di un centro commerciale l’avevano infatti ripresa mentre si era trasgressivamente» appartata con l’amante, precisa la criminologa – per questo motivo un conflitto interiore la dilaniava. Era divorata dal senso di colpa «E questo non lo si evince solo dai racconti del Buoninconti ma è facilmente riscontrabile anche nel messaggio – agli atti – inviato ad un amante qualche mese prima della sua tragica fine» che farebbe presagire un intento suicida della donna: “Hai creato in me una violenza psicologica che porta al suicidio ti definivi rimbambito per essere gentile io provo solo pietà di fronte al male ho la pazienza che mi rende forte e i miei figli che mi danno la vita”.
Elena Ceste: non si conosce la causa di morte ma Buoninconti è stato condannato per omicidio
Ad alimentare le perplessità della Dottoressa Vagli anche il punto sul quale concordano i consulenti di accusa e difesa: l’impossibilità di stabilire la causa della morte di Elena Ceste – quindi ipotizzata dai giudici, senza riscontro oggettivo alcuno – per via delle condizioni in cui si trovava il cadavere al momento del ritrovamento. «Ma il 533 cpp non stabilisce che la condanna dell’imputato debba essere affermata al di là di ogni ragionevole dubbio?», chiede la criminologa, che aggiunge:
«Non abbiamo arma del delitto, non abbiamo causa della morte. Abbiamo però uno stato confusionale, a tratti delirante, di una madre che pagava sulla propria pelle la legge della coscienza. Preoccupata che i comportamenti da donna di casa fossero surclassati dall’emergere della sua doppia vita, paventava a familiari e conoscenti il terrore più grande che una madre possa avere: essere vista dai figli come un ‘mostro’ … ».
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