Non è il diabete di tipo 1, che si manifesta sin da bambini costringendo all’uso quotidiano di insulina. Non è nemmeno il tipo 2, quello tipico degli adulti in sovrappeso, che si controlla spesso con farmaci orali e modifiche dello stile di vita. È una forma a sé stante, chiamata diabete 1,5, o più precisamente LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adults): una via di mezzo tra i due grandi capitoli della patologia diabetica, ancora troppo poco conosciuta e spesso sottodiagnosticata.
Cos’è il LADA e perché viene chiamato “diabete 1,5”
Il LADA è un diabete autoimmune proprio come il tipo 1: il sistema immunitario attacca le cellule beta del pancreas che producono insulina. Ma la differenza sostanziale, come spiega Riccardo Candido, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi, sta nel decorso più lento e subdolo: non ci sono i sintomi esplosivi del tipo 1 (sete intensa, perdita di peso, minzione frequente), e l’insorgenza è in età adulta, tra i 30 e i 45 anni. All’inizio, la carenza di insulina è parziale. La glicemia è alta ma non a livelli critici e spesso non dà sintomi, per cui la diagnosi arriva per caso, durante analisi fatte per altri motivi.
La diagnosi: come non sbagliarla
Il problema maggiore è che questo tipo di diabete viene spesso confuso con il tipo 2, soprattutto nei soggetti adulti non in sovrappeso e con uno stile di vita attivo. Si stima che tra il 5% e il 12% dei pazienti classificati come tipo 2 siano in realtà affetti da LADA. Per individuarlo serve un semplice test del sangue che misura gli anticorpi anti-GAD (Glutamic Acid Decarboxylase): se risultano elevati, si può confermare il LADA. Una diagnosi corretta è fondamentale, perché il LADA ha una progressione più rapida verso l’insulino-dipendenza rispetto al tipo 2.
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Le terapie disponibili
Una volta diagnosticato, il LADA va monitorato con attenzione: prima o poi sarà necessario l’uso dell’insulina, ma nel frattempo alcuni farmaci possono aiutare a preservare la funzione pancreatica.
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La metformina è utile per proteggere il pancreas, anche se indirettamente.
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I farmaci agonisti del recettore GLP-1 (come la dulaglutide) sembrano offrire una protezione più efficace, riducendo la “pressione” sul pancreas e prolungando la capacità dell’organismo di produrre insulina.
L’approccio terapeutico corretto può rallentare la progressione della malattia, prevenendo l’insorgenza di complicanze microvascolari (reni, occhi, nervi) e macrovascolari (cuore, vasi sanguigni).
Fumo e microbiota: due fattori che peggiorano il rischio
Uno stile di vita non salutare può peggiorare la predisposizione genetica. Secondo uno studio del Karolinska Institute in Svezia, fumare raddoppia il rischio di LADA. La nicotina, infatti, altera la sensibilità all’insulina, facilitando la comparsa della malattia in soggetti predisposti. Anche il microbiota intestinale gioca un ruolo: uno studio danese ha dimostrato che chi ha il LADA ha una flora batterica intestinale simile a quella dei pazienti con diabete di tipo 2, ma arricchita da alcune specie batteriche particolari che sembrano essere “firma” della patologia.
E adesso si parla anche di diabete tipo 3
Oltre al tipo 1, 2 e 1,5, ora si inizia a parlare di un ipotetico “diabete tipo 3”, connesso alla malattia di Alzheimer. Questo legame nasce dal ruolo dell’insulina nel cervello: un alterato metabolismo del glucosio cerebrale può facilitare l’accumulo della proteina beta-amiloide, caratteristica dell’Alzheimer. Il calo di insulina nel cervello, o una ridotta sensibilità all’ormone, è associato a perdita di memoria e declino cognitivo. Una dieta ricca di grassi saturi e zuccheri peggiora ulteriormente questa condizione, favorendo obesità, resistenza insulinica cerebrale e disturbi cognitivi.
In sintesi:
- Il diabete 1,5 (LADA) è un tipo di diabete autoimmune ad insorgenza adulta, spesso sottodiagnosticato.
- Richiede una diagnosi differenziale precisa attraverso test specifici (anticorpi anti-GAD).
- Un trattamento mirato può ritardare l’insulina e prevenire complicanze.
- Fumo e alterazioni del microbiota possono anticiparne la comparsa.
- Un’eventuale “evoluzione” del concetto di diabete potrebbe includere anche il cervello, con il tipo 3 legato ad Alzheimer e deficit cognitivi.