Autismo, L’esperta Coletti: “Come capire se il terapista sta facendo un buon lavoro o no”
Di Laura Soria
Quando chiudiamo dietro di noi la porta del neuropsichiatra infantile con una diagnosi di autismo cambia radicalmente ed inconsapevolmente la nostra vita.
Ci sentiamo, in questo paese, assolutamente persi, spaesati, immersi in un mondo a noi sconosciuto ed è proprio questo a spaventarci. In un solo istante ci sentiamo circondati da un vortice di parole (autismo, scuola, bambini, figli, gioco, disabilità, parole, psicomotricità, terapia, logopedia, stereotipie, sguardo, cibo, genetica..) fino a sentirci distrutti e sfiniti con la sola voglia di voler trovare una soluzione, semmai ci sarà!
Tutte le parole che spesso pronunciavamo in modo assolutamente naturale adesso iniziano ad essere pesanti.
Come giocherà con gli altri bambini?
Cosa dovrà mangiare?
Come farà a scuola?
Parlerà?
Cos’è la logopedia?
cos’è la psicomotricità?
Si sposerà?
Ci comunicherà i suoi bisogni?
Il business da milioni di euro che ci intrappola
Quel vortice di singole parole con il tempo si trasforma in frasi che diventano catene che ci soffocano, avendo così l’impressione di non avere nessuna risposta a tutto questo se non la voglia di chiuderci in casa e piangere con il nostro bambino. Ma sappiamo bene, che il mondo è fuori, che un domani i nostri figli ci perderanno e saranno soli, quindi iniziamo a metabolizzare che forse qualcosa si può fare, il nostro istinto di sopravvivenza inizia a farci prima strisciare, poi a muoverci a piccoli passi ed infine rialzarci, stare dritti, guardare avanti, camminare ed iniziare il nostro percorso, la nostra nuova vita, inciampando un infinità di volte, facendoci crescere, irrobustire, ed aprendoci ad un mondo nuovo; spesso spiacevole, spesso piacevole.
I nostri occhi saranno spesso colmi di lacrime, ma dovremo asciugarli sempre perchè non possiamo permetterci finchè saremo in vita di guardare in modo velato.
Quando si è disperati, in Italia, bisogna essere molto fortunati nell’ incontrare le persone giuste, quelle persone che realmente credono in quello che fanno tendendoti non solo una mano ma abbracciandoti.
Ci troviamo in un paese dove i percorsi che affrontiamo sono business da milioni di euro ed i nostri figli si trasformano in una qualunque mercè. Vige un giro d’affari enorme, inimmaginabile che noi poveri genitori difficilmente riusciamo a vedere, perché siamo troppo presi dalla “salute” del nostro bene più prezioso, ma purtroppo, troppo spesso, persone senza scrupoli, che ci forniscono le soluzioni più disparate, le terapie più assurde, ci fanno sprecare denari, che potrebbero permetterci di investirli sul futuro dei nostri figli, le vere punte di diamanti.
Il mio incontro con la dottoressa Coletti
Nel mio lungo e travagliato percorso ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere la psicologa psicoterapeuta Beatrice Coletti, la quale mi ha fornito un quadro chiaro e ben delineato di quello che i genitori dovrebbero fare per avere un adeguato supporto dopo aver avuto la diagnosi di autismo.
La Dr.ssa Coletti mi spiega che quando si ha a che fare con la dis-abilità, lo specialista che effettua la valutazione deve, o almeno dovrebbe comunicare con chiarezza al genitore di che cosa stiamo parlando; spesso gli specialisti vanno molto sull’aspetto clinico-medico dicendoci semplicemente, quello che c’è e quello che non ci sta all’interno del cervello, non fornendo la possibilità al genitore di far metabolizzare la diagnosi, poiché secondo la Dr.ssa Coletti avere una diagnosi di autismo è come avere un secondo parto, in quanto emerge un figlio che nel nostro immaginario genitoriale non avevamo proprio previsto.
C’è una diversità in tutto quello che avevamo immaginato per cui già dal momento della diagnosi dovrebbe esserci la figura dello psicologo che accompagna la metabolizzazione della prognosi. Quando viene fuori questo parolone “spettro autistico”, cala completamente il vuoto nel genitore, anche perché la disinformazione ci fà immaginare i bambini come se fossero al di fuori del normale, chi non sà, chi non conosce, immagina un bambino che dà testate nel muro, atteggiamenti autolesionistici, non parla, corre, non ci abbraccerà mai, non parlerà mai.. Quindi nella fantasia genitoriale c’è tutto questo, dato da una pessima informazione. Gli specialisti ci parlano del limite, del problema ma cosa bisogna fare, a chi rivolgerci nello specifico purtroppo no, ed il genitore in Tilt si affida a ciò che ci sta in giro, anche ricercandolo in google.
Ma cosa bisogna realmente fare?
Gli specialisti che forniscono una diagnosi di autismo dovrebbero spiegarci quelle che potrebbero essere le loro abilità in base al processo dell’evoluzione, quello che sicuramente funziona, è un intervento precoce basato su quelle che sono le competenze del bambino, perché bisogna andare a sviluppare le sue abilità insegnandogli a guardare, ad ascoltarci, a stare seduto.. per cui qualsiasi tipo di terapia che sia la psicomotricità, la logopedia, dovranno fornirci supporto per lo sviluppo di queste capacità, e questo ovviamente dipenderà dalla FORMAZIONE dei Terapisti.
Come scegliere il centro riabilitativo adatto ai nostri figli?
Come rendersi conto delle capacità dei terapisti?
Come capire se la terapia di nostro figlio è adatta a lui?
Come salvaguardarci dal business che circonda le nostre famiglie e renderci conto di avere davvero difronte personale competente e qualificato capace di fornire un supporto adeguato?
La Dr.ss Coletti ci informa che in Italia abbiamo degli studi di Ricerca che ogni anno scrivono delle linee guida per il trattamento di qualsiasi tipo di disturbo ed anche per l’autismo esistono le Linee guida n°21 “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti”, dove sono elencate tutte le terapie da utilizzare per il disturbo dello spettro autistico, per cui il mondo che c’è intorno a questo disturbo deve utilizzare questo protocollo che comprende le terapie cognitivo comportamenti, la logopedia, l’ippoterapia e così via. Inoltre L’equipe che si occuperà del bambino deve essere sempre formato dal neuropsichiatra infantile, lo psicologo, lo psicomotricista, neuropsicomotricista, il logopedista e l’educatore.
Come possiamo valutare la loro esperienza?
Dobbiamo, assolutamente, conoscere il curriculum!
Perché? Il problema è che Oggi tutti fanno “Terapia Aba”, “terapia comportamentale cognitiva” etc. però è fondamentale che i terapisti abbiano l’esperienza, esperienza nel come prendere un bambino (anche semplicemente in braccio) ed averlo semplicemente studiato teoricamente senza mai praticarlo non èun bene, poiché i bambini autistici sono diversi l’uno dall’altro.
Gli interventi cognitivi comportamentali sono sicuramente gli interventi con cui si riescono ad ottenere maggiori successi ed ovviamente non è possibile seguire un protocollo poiché è su ogni singolo bambino che bisogna strutturare delle attività e poi stà a chi esercita la terapia utilizzarla in modo appropriato.
Inoltre è fondamentale l’intervento psicoeducativo con i genitori che viene contemplato nelle linee guida (es. parent training ed intervento psicoeducativo) perché chi deve agire sulla modificazione del comportamento è tutto quello che sta al di fuori del bambino. Se il bambino va a fare terapia al centro di 50 minuti e poi dopo torna a casa e trova lo stesso ambiente non modificato per inesperienza etc quella terapia di 50 minuti servirà a molto poco.
La disperazione Dr.ssa Coletti ci porta a cercare delle soluzione in google, e da questo motore di ricerca emergono fiumi di soluzioni, addirittura guarigioni con l’alimentazione, omeopatia, Farmaci che provengono da diverse parti del mondo! Ma come può un genitore difendersi da questo mondo fasullo? Da questo mondo che vuole prendersi gioco di noi?
La Dr.ssa Coletti ci rimanda sempre alle linee guida n° 21 da seguire, dove ci riportano le cose da fare per “Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti” ma tenendo ben ferma nella nostra mente che cure non esistono, poiché l’autismo è una condizione, un modo di essere, e non una malattia.
Dr.ssa Coletti come cambia il contesto familiare in virtù della diagnosi? E cosa sarebbe opportuno fare?
Bisognerebbe proporre la psicoterapia ai genitori insieme alla diagnosi, ma purtroppo ciò non avviene!
La psicoterapia familiare purtroppo non viene assegnata e non è prevista come intervento di supportoalla diagnosi nei progetti riabilitativi (soprattutto nella nostra regione), essa viene prescritta in età adolescenziale, quando nella famiglia si sono ormai già compromesse relazioni tra i coniugi per le varie incoerenze educative che spesso si presentano durante la crescita di un bambino con dis-abilità ma soprattutto nella fase adolescenziale.
E’ fondamentale non focalizzarsi su “mio figlio ha un problema”, mio figlio è “dis-abile”, mio figlio ha un problema, ma lavorare su tutto il contesto familiare, non finalizzando la propria vita solo ed esclusivamente all’ ambito terapeutico, intorno c’è la vita, bisogna viverla mantenendo la propria identità, facendo in modo che gli altri si adattino a noi col fine che l’autismo possa essere una condizione di normalità nel nostro contesto sociale, non escludiamoci in un mondo che naturalmente tenderebbe ad escluderci, senza nemmeno volerlo realmente perché non ci conosce.
Non puoi scoprire nuovi oceani fin quando non perdi di vista la spiaggia.
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