Asilo degli orrori a Caserta: Botte sulle parti intime e costretti a mangiare per terra. Suore condannate
Picchiavano i bimbi dell’asilo, suore condannate in tribunale. Quattro religiose che prestavano servizio in una scuola materna di San Marcellino (Caserta), sono state condannate per maltrattamenti (rito abbreviato) a 2 anni ciascuno dal gup del Tribunale di Napoli Nord. Si tratta di tre suore straniere e della madre superiora, un’italiana, direttrice della scuola accusata anche di intralcio alla giustizia. L’accusa aveva chiesto il doppio della pena.
Le monache avrebbero percosso in alcune occasioni i bambini durante l’orario di mensa o nel corso di attività ricreative. Le indagini dei carabinieri, sono state avviate lo scorso anno su denuncia di alcuni genitori. Alcuni filmati riguardanti le intercettazioni audiovisive hanno confermato le denunce.
La Procura di Napoli Nord, diretta da Francesco Greco, ha raccolto un quadro inquietante a carico delle tre monache che gestivano i 19 alunni dell’asilo ed ha chiesto l’arresto anche per la superiora, ritenendo che poteva fermare le violenza e non lo ha fatto. Le accuse sono gravissime. Botte sulla testa, tirate di capelli, spintoni, schiaffi, manine schiacciate contro i banchi. E percosse nelle parti intime per alcuni dei piccoli. Un bambino è tornato a casa con i genitali arrossati, un’altra con i capelli strappati sui vestiti, un’altra ancora con dei lividi. Ma non è tutto.
Le suore, secondo i bimbi, usavano praticare un tipo di punizione che sembrava seppellita in un tempo che non dovrebbe esistere più. I bimbi più irrequieti venivano rinchiusi in una stanza al buio. Quelli che si rifiutavano di mangiare costretti a ingoiare il cibo caduto per terra.
Dopo la prima denuncia, e siamo ai primi di marzo, i carabinieri entrano nell’asilo e piazzano le telecamere. A marzo, quattro dei diciannove alunni raccontano di essere stati picchiati ripetutamente dalle suore. Alcuni genitori si presentano a scuola per chiedere spiegazioni. «I bambini dicono le bugie, non dovete credere a ciò che raccontano»: lo dice la superiora alle mamme e ai papà che si presentano in convento a chiedere spiegazioni. Poi, però, i carabinieri nascondono le telecamere nelle aule e quei racconti assumono concretezza, diventano tangibili. Si trasformano in prove a carico di suor Josi, suor Loyola, suor Genovina e madre Porrari.