«Adolescence fa paura perché può succedere a chiunque». Con questa frase lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, docente alle università Bicocca e Cattolica di Milano, accende i riflettori su una delle serie più discusse del momento. Ma dietro la trama – che ruota attorno a un femminicidio compiuto da un adolescente – si cela un messaggio ben più profondo: la fragilità degli adulti e il silenzio delle istituzioni educative, scuola in primis, nel comprendere e accompagnare davvero le nuove generazioni.
Una scuola che non parla ai ragazzi
Nella serie, nota Lancini, non c’è un insegnante o un tutor credibile. Nessuna figura scolastica capace di interpretare le inquietudini giovanili, di farsi ponte tra la tempesta emotiva dell’adolescenza e il mondo degli adulti. Un vuoto che si riflette, drammaticamente, anche nella realtà. La scuola italiana – dice lo psicologo – è pensata per gli adulti, non per i ragazzi. I dati lo dimostrano: l’esodo scolastico è in crescita, sempre più adolescenti scelgono di non frequentare, mentre chi “va bene” a scuola spesso crolla solo dopo, in silenzio.
Una scuola “per i ragazzi”, non per le pagelle
Lancini non risparmia critiche al sistema: “Bisognerebbe preoccuparsi dei ragazzi che vanno bene a scuola, perché li vediamo esplodere solo più tardi”. Il problema, secondo lui, non è la disciplina o l’apprendimento dei contenuti, ma la mancanza di una scuola che si metta davvero in ascolto. Una scuola che non accoglie le emozioni, che ancora misura tutto in numeri e performance, ignorando che il disagio psichico, se ignorato, può diventare devastante.
L’auspicio dello psicologo è una scuola “open internet”, capace di utilizzare strumenti moderni come l’intelligenza artificiale, ma soprattutto orientata al futuro, alla domanda, al senso, non al semplice nozionismo. Un luogo che aiuti i ragazzi a trovare un posto nel mondo, a scoprire che le loro emozioni hanno dignità e spazio.
L’adulto smarrito e il cortocircuito educativo
La serie “Adolescence” è uno specchio: i ragazzi sembrano dover sostenere gli adulti, non il contrario. Genitori fragili, insegnanti assenti, educatori in crisi. Secondo Lancini, viviamo in una società che rifugge l’emotività, specialmente quella dei più giovani. “Gli adulti non tollerano che i figli provino paura, tristezza o ansia. Perché questo li costringe a impegnarsi emotivamente”, spiega.
La scuola, in tutto questo, dovrebbe essere un baluardo. Ma troppo spesso si rivela un ambiente giudicante, rigido, scollegato dalla realtà vissuta dai ragazzi. Un’istituzione che parla di loro, ma non con loro. Che pretende di educare, ma non si mette mai in discussione.
Una chiamata all’ascolto
Se si ignora il grido muto degli adolescenti, il rischio è che questo si trasformi in azione: “Quando non si riescono a esprimere le emozioni in parole, si passa ai gesti estremi”. Dalle crisi d’ansia ai disturbi alimentari, dai tentativi di suicidio alle esplosioni di violenza. Non è solo un problema individuale: è un’urgenza collettiva, educativa, scolastica.
Cosa fare allora?
Secondo Lancini, serve una rivoluzione culturale dell’educazione. Bisogna cambiare lo sguardo, fare spazio ai sentimenti, dare voce a chi è cresciuto in un’epoca diversa, fatta di social e incertezze. La scuola deve essere il primo luogo di accoglienza emotiva, dove si impara a leggere, sì, ma anche a sentire.
Perché se è vero che “Adolescence fa paura”, è perché parla di noi. Di una società che ha dimenticato che crescere è difficile, e che per aiutare davvero i giovani non bastano le regole o le interrogazioni, serve soprattutto una cosa: presenza autentica e ascolto profondo. E la scuola, più di ogni altra istituzione, ha il potere – e il dovere – di offrire entrambi.