Yara, La Svolta dopo la confessione choc: “Mi hanno offerto benefici e alterato prove. In carcere un innocente”
Massimo Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, la 13enne scomparsa la sera del 26 novembre 2010 dopo essere uscita dalla palestra di Brembate di Sopra (Bergamo) e ritrovata cadavere il 26 febbraio 2011 in un campo a Chignolo d’Isola, 10 chilometri da Brembate, scrive a Vittorio Feltri, direttore di Libero:
«Non sono né l’assassino della povera Yara, né il mostro che i media e i social hanno dipinto. Sono un uomo normale, semplice che pensava al lavoro e a non far mancare nulla alla propria famiglia. Arriva quel maledetto giorno – racconta Bossetti – che ha sconvolto la mia vita e quella della mia famiglia, e dei miei cari che oggi mi guardano dal cielo, e sono convinto che questa vicenda li ha provati moltissimo.
Non voglio entrare in questa lettera nei dettagli, però non posso fare a meno di dire che il trattamento che la giustizia italiana mi ha riservato è stato scorretto e ha calpestato ogni diritto alla difesa, e mi riferisco anche a quell’ex ministro dell’Interno incapace, che gridava al mondo che era stato preso l’assassino di Yara, calpestando la Costituzione».
«Poi in carcere a Bergamo – prosegue Bossetti – la P.M. e vari responsabili dell’organo penitenziario, mi pressavano a confessare in continuazione un delitto proponendomi benefici. Come potevo confessare un delitto che non ho commesso? La P.M. più volte ha provato a propormi benefici, se erano così sicuri di aver preso l’assassino, non li proponevano con insistenza, né benefici e tantomeno facevano produrre filmati manipolati da distribuire ai media.
Poi, il non far assistere i miei legali alle prove più importanti dei reperti e del Dna. Grido dall’inizio di ripetere la prova del Dna e sono sicuro che leverebbe ogni ragionevole dubbio. Perché è stato commesso »UN GRAVE ERRORE GIUDIZIARIO« (tutto maiuscolo nella lettera, ndr), non sono io il colpevole, e il codice di procedura penale dice chiaramente all’articolo 533 C.P.P. 1° comma che ‘il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio».
«Direttore – conclude Bossetti – La prego di porgermi la Sua mano d’aiuto, non è giusto essere dipinto un mostro, non è giusto che mi abbiano affibbiato un ergastolo, non è giusto che venga commesso un errore giudiziario, per l’incapacità professionale… Confido che Lei possa capire cosa ho e sto provando. Gentile Direttore, La prego di prendere in considerazione la mia richiesta d’aiuto, restando a sua completa disposizione per ulteriori chiarimenti».