Giallo Scazzi, Tutto da rifare. I periti di Torino hanno le prove dell’innocenza di Sabrina. Eccole
L’omicidio di Sarah Scazzi ha ancora troppi dubbi oscuri, troppe domande irrisolte. Non a caso le due donne condannate per l’omicidio sono state le protagoniste di Storie maladette in onda su Raitre.
Ma ci sono delle novità che potrebbero far sospettare sulla sentenza di colpevolezza per Sabrina e Cosima. Nuove perizie fatte non a Taranto, bens’ dagli investigatori di Torino, fatte sui cellulari, infatti, potrebbero scagionare le due donne. Come racconta anche Massimo prati sul suo blog, importante è stata la perizia effettuata sul cellulare di Sarah al momento della chiamata effettuata da Sabrina Misseri alle 14.42 per chiederle dove fosse. E questo è un punto importante perché i periti hanno scritto che il cellulare di Sarah in quell’orario era sicuramente in garage.
Certo, a prima vista può sembrare una sciocchezza perché la procura può sempre dire che in quell’orario anche il cadavere di Sarah, che per i procuratori fu uccisa in casa quasi mezzora prima, si trovava in garage. Ma solo a prima vista e solo per un attimo, perché basta usare tutti gli elementi a disposizione per capire che il cellulare di Sarah posizionato nel garage alle 14.42 dimostra che Michele Misseri non ha mentito quando ha detto di aver ammazzato la nipote.
Sin dal primo verbale il punto fermo della sua confessione è stato lo squillo del cellulare che lo aveva come “risvegliato” obbligandolo a lasciare la corda con cui aveva legato il collo della nipote. Lo ha sempre detto. Il cellulare squilla e lui lascia la presa. Il cellulare cade subito prima del cadavere di Sarah e finendo sul pavimento di cemento si apre e smette di suonare. Lui in quel momento capisce di aver fatto una cosa aberrante. Tocca il collo della nipote e non sente pulsazioni, le allarga gli occhi toccandoli con un dito e si accorge di essere un assassino. Se colleghiamo questa parte della sua confessione alla perizia, non abbiamo un teorema ma la certezza che Sarah è stata uccisa dallo zio e che lui accusandosi del delitto il 6 ottobre non ha mentito ai procuratori.
“... l’ho presa per le spalle e l’ho sollevata di peso girandola verso il portone. A quel punto mi ha dato un calcio col tallone nelle parti intime e non ci ho visto più. Ho preso la corda appoggiata sul trattore, l’ho attorcigliata un paio di volte al suo collo e ho stretto con tutta la forza che avevo. Non so per quanto tempo, forse per cinque minuti. Poi è squillato il cellulare che Sarah stringeva ancora in una mano e ho lasciato la presa. Il cellulare è caduto e si è aperto. Anche Sarah è caduta…”
La perizia dice che il cellulare alle 14.42 ha squillato per l’ultima volta ed era nel garage di via Deledda 22. Michele Misseri nel primo interrogatorio dice che il cellulare ha squillato mentre stringeva la corda e che poi è caduto e si è aperto facendo uscire la batteria.
Se la perizia avesse dimostrato che il cellulare era in casa o da un’altra parte che non fosse il garage, questi due indizi non avrebbero potuto incrociarsi e la procura avrebbe avuto ragione di sospettare figlia e moglie. Ma il cellulare era in garage e i due indizi si possono unire e completandosi uno con l’altro formare una prova che fa capire tante cose.
Prima fra tutte che Sabrina Misseri mentre Sarah moriva era in strada assieme a Mariangela Spagnoletti. Non può essere altrimenti perché altre ricostruzioni appaiono illogiche. Infatti è assurdo pensare che il cellulare di Sarah sia passato di mano, da Sabrina Misseri a suo padre, e poi sia stato dalla stessa dimenticato, o sottovalutato, per oltre un mese. Questo è assurdo perché la ricostruzione accusatoria che vuole il telefonino nella disponibilità di Sabrina Misseri almeno fino alle 14.28, quindi fino al momento dello squillo che secondo i procuratori la ragazza si invia col cellulare della cugina per crearsi un alibi, non spiega il motivo per cui dopo il suddetto squillo, visto che Sarah per i procuratori a quel punto era già cadavere, il cellulare non venga spento.
Non lo spiega in alcun modo. Eppure non poteva restare “acceso” nelle mani di Michele, visto la sua poca conoscenza dei cellulari e di quell’apparecchio in particolare. E se qualcuno avesse cercato Sarah, la madre il padre il fratello o un’amica, e lo zio avesse schiacciato il tasto sbagliato rispondendo pur senza parlare? Non era un rischio da correre dopo un omicidio e un depistaggio pensato per la creazione di un alibi ad hoc. Inoltre chiamare quel cellulare alle 14.42, se Sabrina Misseri lo avesse davvero dato al padre che sapeva posizionato in garage col cadavere, significava correre un rischio enorme che mai un assassino avrebbe corso, sapendo del telefonino acceso, dei portoni aperti, e vista la presenza di Mariangela e di sua sorella.
E se le due ragazze avessero sentito gli squilli provenire dal garage? Ma oltre a questo i procuratori non hanno spiegato neppure il motivo per cui, se il cellulare lo avesse dato Sabrina al padre, hanno accusato la ragazza di aver cercato la scheda sim fra la spazzatura. Ma come? Lei le sim le conosceva bene e non si era accorta che quella in questione era ancora inserita nel cellulare di Sarah? No, non poteva non accorgersene e quindi è più convincente la spiegazione di Michele Misseri che dice alla figlia di far mucchiette con la scopa perché deve ritrovare una vite particolare che ha perduto.
In pratica, la perizia portata in tribunale dai periti di Torino apre a una nuova ipotetica ricostruzione che potrebbe vedere Sarah uscire di casa alle 14.28, al momento dello squillo inviato a Sabrina, per poi passare da via Kennedy, dove fu vista dai fidanzati, alle 14.31 e arrivare di fronte alla casa dei Misseri sulle 14.33. In strada non c’è nessuno, ma il garage è aperto e lo zio sta bestemmiando. Poco ci vuole a immaginare che, seppur titubante, si sia fatta forza per chiedere, dall’alto, se poteva citofonare. Poco ci vuole che sentendosi ignorata e vedendo la sua voce coperta dalle bestemmie di Michele Misseri, abbia deciso di avvicinarsi allo zio per chiedere se poteva citofonare e il motivo di tante parolacce. In fondo si era sempre mostrato gentile con lei. E poco ci vuole che si sia trovata ad avere a che fare con il furore di una persona in quel momento ingestibile. E poco ci vuole a credere che verso le 14.37/14.38 lui l’abbia presa alle spalle stringendole una corda al collo fino al momento in cui lo squillo del cellulare lo ha risvegliato mettendolo di fronte al crimine che aveva commesso. Poi la vergogna per quanto compiuto ha fatto il resto, fin quando i sensi di colpa hanno preso il sopravvento. Perché no?