Sono trascorsi 14 anni da quel 18 aprile 2011, quando il corpo senza vita di Melania Rea venne ritrovato nel bosco di Ripe di Civitella, in provincia di Teramo. Una ferita che l’Italia non ha mai davvero dimenticato. Melania, 29 anni, moglie e madre, era scomparsa durante una gita con il marito Salvatore Parolisi e la loro bambina di 18 mesi. Il marito, caporal maggiore dell’Esercito in servizio al Rav Piceno di Ascoli, è stato condannato in via definitiva per il suo omicidio.
Il delitto che sconvolse l’Italia
Inizialmente Parolisi denunciò la scomparsa della moglie dal pianoro di Colle San Marco, ma fu proprio lui, dopo giorni di depistaggi e versioni contraddittorie, a finire nel mirino degli inquirenti. Il 20 luglio 2011 venne arrestato. Melania era stata colpita con 35 coltellate, lasciata agonizzante in un bosco. L’arma del delitto non fu mai ritrovata. Il processo fu lungo e articolato. In primo grado, Parolisi venne condannato all’ergastolo. La Corte d’Appello dell’Aquila ridusse la pena a 30 anni. La Cassazione, infine, escluse l’aggravante della crudeltà, fissando la condanna definitiva a 20 anni di carcere.
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Un passato che non passa
Oggi Parolisi si trova nel carcere di Bollate, lo stesso dove sono detenuti Alberto Stasi e Massimo Bossetti. Per un certo periodo ha beneficiato di permessi premio grazie alla sua condotta definita “modello”. Tuttavia, dopo un’intervista rilasciata alla trasmissione Chi l’ha visto?, quei benefici gli sono stati revocati. I giudici hanno ritenuto che le sue dichiarazioni mostrassero «assenza di rispetto per la vittima, per la sua famiglia e per le donne in genere». Durante i permessi avrebbe dovuto svolgere attività di volontariato in parrocchia. Ma la sua esposizione mediatica ha riacceso le tensioni e, per i familiari di Melania, anche il dolore.
Una figlia cresciuta con la verità
La figlia di Melania e Salvatore, Vittoria, oggi ha 15 anni. All’epoca del delitto era poco più che una neonata. Oggi vive con i nonni materni a Somma Vesuviana, il paese natale di sua madre. Ha chiesto e ottenuto di cambiare il proprio cognome: non è più Parolisi, ma Rea. Un gesto carico di significato, simbolo della volontà di recidere ogni legame con il passato doloroso e di onorare la memoria della madre.
Un amore tradito
Dietro il femminicidio di Melania Rea si cela la storia di un matrimonio logoro e di un uomo diviso tra doppie vite. Salvatore Parolisi aveva un’amante, Ludovica, una giovane soldatessa conosciuta durante il servizio. Quello che sembrava un rapporto extraconiugale è emerso come parte di una vita parallela. La Cassazione ha stabilito che l’omicidio non fu premeditato, ma frutto di un “dolo d’impeto”. Un gesto brutale, però, consumato con 35 fendenti. E senza possibilità di appello per Melania.
Il mistero mai risolto
Restano ancora delle zone d’ombra. L’anonima telefonata al 113, fatta da una cabina pubblica e con accento teramano, che condusse al ritrovamento del corpo, non ha mai avuto un volto. Chi telefonò? E perché?
Il lascito di Melania
Oggi, 14 anni dopo, resta il dolore di una famiglia e il ricordo di una giovane donna uccisa brutalmente. Melania Rea non è solo un nome nei registri di cronaca nera. È un simbolo delle tante, troppe, donne uccise per mano di chi prometteva amore eterno. La sua storia continua a interrogare la giustizia, l’opinione pubblica e la coscienza collettiva.