Scuola, nuova sentenza Cassazione: se la maestra influisce sulla psiche è reato di maltrattamento
L’accusa di maltrattamenti in danno di minori di 3 anni deve essere adeguatamente vagliata verificando se le condotte commesse dall’educatrice possano incidere negativamente sullo sviluppo fisico-psichico dei minori.
Ciò vale soprattutto quando vengano in rilievo atteggiamenti educativi impropri, quali la violenza verbale, assunti in un contesto comunque caratterizzato da serenità e assenza di paura per i minori. Questo è quanto emerge dalla sentenza 19931/2019 della Cassazione.
Il caso della Scuola di Sanremo
Protagoniste della vicenda sono due educatrici di un asilo nido di Sanremo, finite nel 2014 al centro di un caso di presunti maltrattamenti perpetrati nei confronti di alcuni bambini ospiti della struttura. Tratte a giudizio per rispondere del reato di maltrattamenti in danno di minori a scuola, la responsabilità penale delle loro condotte veniva valutata alla luce delle dichiarazioni di alcuni genitori e supplenti, delle videoriprese effettuate per 2 mesi all’interno dell’asilo, nonché dei contributi forniti dal perito e dai consulenti tecnici.
In sostanza, le condotte contestate consistevano in violenze verbali, atti bruschi e comportamenti impropri, posti in essere per frenare la vivacità dei bambini in un contesto comunque caratterizzato da un clima di serenità e assenza di paura. Il materiale probatorio portava però a diverse letture: in primo grado le due maestre venivano scagionate, mentre in appello i giudici emanavano un verdetto di condanna, riconoscendo la violenza fisica e psicologica delle condotte tenute dalle due donne a scuola
La decisione
Su ricorso delle due educatrici la vicenda passava così all’esame della Cassazione che con una lunga e articolata sentenza annulla il verdetto di condanna e rinvia alla Corte d’appello per una nuova decisione che dovrà essere preceduta dalla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Ebbene, la Suprema corte bacchetta i giudici di merito, colpevoli di aver semplicemente fornito una lettura differente del materiale probatorio, formulando una diversa valutazione sull’attendibilità di alcuni testi e sulla concreta concludenza delle dichiarazioni del perito e dei consulenti. I giudici di secondo grado avrebbero, invece, dovuto rinnovare l’assunzione in contraddittorio delle prove, specie con una nuova audizione del perito, e procedere ad una motivazione rafforzata passando da una sentenza assolutoria ad una di condanna.
A maggior ragione, sottolinea il Collegio, ciò vale in una fattispecie dove vengono in rilievo soggetti particolarmente vulnerabili, in relazione alla quale è opportuno che le condotte siano «valutate non solo sotto il profilo strettamente naturalistico-fenomenico, ma anche in relazione alla concreta incidenza sullo sviluppo fisico-psichico di soggetti bisognosi di cure attente».