Addio agli sconti al Supermercato e al 3X2. IL Governo blocca i prezzi (più alti)
C’era una volta il libero mercato. Già, non è esagerato affermare che nel cuore dell’Europa sia minacciata una delle principali libertà delle imprese, quella di fissare in autonomia i prezzi dei beni e servizi venduti. Partiamo dalla Francia, dove dall’1 febbraio scorso è entrata in vigore la cosiddetta “Loi alimentantion”. Trattasi del divieto per i distributori di rivendere i prodotti applicando un margine inferiore al 10%.
Inoltre, lo sconto massimo che può essere praticato non dovrà superare il 34%. Dunque, addio alle famose vendite “prendi 3, paghi 2”. Unica eccezione consentita riguarda i prodotti deperibili, ai quali potranno essere applicati sconti maggiori, ma questi non potranno essere pubblicizzati all’esterno del punto vendita, né annunciati. L’obiettivo del governo consisterebbe nel costringere la grande distribuzione a pagare di più i fornitori, i quali a loro volta remunererebbero maggiormente gli agricoltori, una lobby potente in Francia.
La conseguenza immediata della legge ha consistito nell’aumento dei prezzi per almeno il 4% dei prodotti alimentari di largo consumo e per rincari che sono arrivati a sfiorare il 10%. E non è nemmeno detto che il maggiore esborso sostenuto dai consumatori vada a beneficiare le tasche degli agricoltori, dato che la legge non obbliga né i grandi distributori a pagare di più i fornitori, né questi ultimi a pagare di più i produttori. Insomma, a fronte di vantaggi incerti, l’unica certezza è per ora che siano state colpite le fasce più deboli della popolazione, le famiglie a basso reddito, sulle quali incideranno di più gli aumenti. E il governo farà cassa, dato che a prezzi di vendita più alti corrisponderà un gettito fiscale maggiore.
Anche l’Italia vuole fissare i prezzi per legge
Lo scorso anno, la Direzione generale della concorrenza aveva aperto un’inchiesta sulla promozione di Intermarché, che aveva venduto i barattoli di Nutella al -70%, scatenando risse tra i consumatori per accaparrarseli. La vendita sottocosto è considerata lesiva della concorrenza, anche in Italia. E così, la concorrente Leclerc aveva replicato con uno sconto dell’80% sulla Nutella, ma per aggirare l’ostacolo del divieto di vendita sottocosto, lo aveva applicato attraverso il rilascio di buoni di acquisto.
Anche nel caso della “Loi alimentantion” si cercano i modi per aggirare i divieti, come l’applicazione di uno sconto non al singolo prodotto, bensì generale. I buoni acquisto e gli accrediti sulle carte fedeltà, invece, non aggirerebbero l’ostacolo, visto che la legge colpisce le promozioni “immediate o differite”.
Se la Francia imbraccia la sua battaglia contro la libertà di fissare i prezzi, l’Italia non è da meno e il governo giallo-verde starebbe preparando una legge “anti-Amazon” per impedire la vendita dei prodotti a prezzi differenti sui siti di e-commerce. Grazie alla tracciabilità garantita dalla “blockchain”, la tecnologia sottesa ai Bitcoin, si potranno monitorare origine e prezzi di ciascun bene e non sarà più possibile venderlo a prezzi differenti, a seconda della vetrina in cui compare. Insomma, prezzi uguali per lo stesso prodotto, indipendentemente dal sito a cui viene venduto.
La proposta di legge della maggioranza grillo-leghista non si ferma qui, perché prevede anche di rimettere mano alla legge Levi del 2011, quella che fissa al 15% lo sconto massimo applicabile sui libri. La Lega vorrebbe abbassarlo al 5%, impedendo al contempo l’applicazione degli sconti a catalogo. Anche in questo caso, l’obiettivo consiste nel colpire le grandi catene e i colossi online, tra cui proprio Amazon.
Il motivo? Grazie anche alla capacità di eludere le imposte in Italia, questi giganti riescono a maturare utili fino al 90% sui libri, quando una libreria non va oltre il 30%. Pertanto, riescono a garantire ai clienti sconti che i piccoli concorrenti possono solamente sognare. Ed ecco che ci penserà lo stato a rimettere tutti sullo stesso piano, con la speranza che le librerie nelle nostre città cessino di chiudere e tornino a riaprire, proprio come sta avvenendo timidamente in Francia, dove le aperture hanno superato le chiusure lo scorso anno del 2,6%, in conseguenza di norme restrittive sulle vendite a sconto dei libri online.
I rischi di interventi normativi sui prezzi
E’ giusto intervenire con leggi per regolare i prezzi di beni e servizi? Quand’anche gli obiettivi dichiarati fossero condivisibili, bisogna considerare gli effetti delle proprie azioni. Ad esempio, a fronte di un aumento dei margini per legge dei distributori francesi, l’unica certezza per ora è che a rimetterci saranno i consumatori, mentre non è detto che un solo centesimo vada a finire in tasca a fornitori e/o agricoltori. In effetti, non esiste una sola ragione per cui un grande distributore dovrebbe rinunciare a parte dei propri (maggiori) margini in favore degli altri anelli della catena. Invece, meglio sarebbe per i governi affrontare la questione di petto, non tramite escamotage. Se i colossi della distribuzione riescono ad acquistare per spiccioli i prodotti degli agricoltori, è perché vantano un potere negoziale incommensurabilmente più alto e che deriva loro dalle dimensioni. Bisognerebbe accrescere la concorrenza presso l’intera filiera, così che chi produce disponga di alternative per vendere, a beneficio dei propri margini.
Per il resto, bisogna anche smetterla di pensare che si possa andare contro le leggi del mercato, vendendo fumo agli “sconfitti”. I prezzi sono sempre stabiliti dall’incontro tra la domanda e l’offerta e nessuna legge per via amministrativa garantirà mai maggiori margini a chi si trova dalla parte “abbondante” del mercato. Anzi, essa rischia di perpetuare comportamenti errati, spingendo i produttori a concentrarsi nell’offerta dei beni sbagliati sul piano della convenienza economica, a causa dei prezzi artificiosamente tenuti alti. Inoltre, perché mai sostenere solo i prezzi dei beni agricoli e non anche quelli di svariati altri prodotti? In pratica, lo stesso ragionamento potrebbe essere preteso da chiunque ritenga oggi di produrre con bassi margini. E si consideri che obbligare i consumatori a spendere di più per i prodotti alimentari finirà per sottrarre loro reddito da destinare ad altri comparti di spesa, per cui verranno colpite altre categorie, visto che rimarranno meno soldi in tasca per andare al cinema o a teatro, per comprare abbigliamento, per dedicarsi alla palestra, etc.
I casi di Francia e Italia sono tra loro assai simili per la carente cultura di mercato che mal celano, nonostante l’apparente scontro ideologico in atto tra i due paesi tra “europeisti” e liberali da un lato e sovranisti euro-scettici dall’altro. Entrambi si riveleranno una tragicomica battaglia contro i mulini al vento e colpiranno le tasche dei consumatori, quelli che ciascuno rivendica di volere aiutare con le proprie azioni. Sarebbe il contrario di quanto servirebbe, cioè la difesa dei redditi, la cui insufficienza spesso alimenta le rivolte elettorali e persino violente (vedasi i “gilet gialli”) di quanti intravedono nella globalizzazione il nemico contro cui combattere. E, invece, il nemico si chiama disparità delle regole, quella ipocrisia dei governi per la quale ai produttori locali s’impongono norme stringenti di natura ambientale, a tutela della salute e sul piano fiscale, mentre si consente ai prodotti in ingresso dall’estero di arrivare finanche sulle nostre tavole senza che si abbia alcuna garanzia sull’osservanza delle stesse norme. Una discriminazione all’incontrario, di cui l’Unione Europea è diventata maestra e che ha spinto parte consistente dei propri cittadini a rivoltarsi contro la globalizzazione, quando il loro vero nemico siede a Bruxelles.